Cassazione, incroci pericolosi tra la Bossi/Fini e il matrimonio gay

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Le applicazioni del “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina sulla emigrazione e norme sulla condizioni degli stranieri” più noto come legge “Bossi/Fini” continuano a destare non poche perplessità applicative.

Basti pensare, nella stretta attualità, alla pratica ricaduta del mancato recepimento della Direttiva 2008/115/CE in relazione alle inosservanze dei provvedimenti di rimpatrio adottati prima del 24 Dicembre 2010 ed alla preannunziata ricaduta di impugnative del provvedimento di espulsione, che imporrà la disapplicazione della norma interna contrastante con quella europea.

Una sentenza della Prima Sezione della Corte di Cassazione di recentissima pubblicazione richiama, proprio in punto di pratica applicazione della normativa interna, gli intricati gangli di coordinamento tra legge nazionale, norme comunitarie ed ordinamenti interni di altri Stati membri della unione Europea.

Nella sentenza di cui ci occupiamo, la Corte Suprema ha annullato con rinvio una Sentenza del Giudice di Pace di Mestre che condannava due cittadini extracomunitari per la violazione di cui all’art. 10 bis (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato) ritenendo irrilevante la documentazione prodotta da un imputato attestante l’avvenuto suo matrimonio in Spagna con persona dello stesso sesso.

In buona sostanza, la tesi difensiva, riproposta con successo in Cassazione, deduceva per il ricorrente la acquisita qualità di familiare (specificatamente di coniuge) di cittadino dell’Unione Europea con conseguente inapplicabilità della “Bossi/Fini”.

Sul piano normativo la questione è fondata in forza del comma 2 dell’art. 1 del del D.Lgs 286/98 “Il presente articolo non si applica ai cittadini degli Stati membri dell’U.E.” e del successivo D.Lgs 30/2007 attuativo della Direttiva 2002/38/CE in forza del quale espressamente si qualifica come coniuge “il partner che abbia contratto con il cittadino di uno stato membro dell’U.E. un’unione registrata sulla base della legislazione di uno stato membro”.

Nel caso di specie, in accoglimento dello specifico devolutum, la Prima Sezione della Corte, a seguito della udienza pubblica dell’1.12.2010 e con decisione depositata il 13 gennaio, ha annullato con rinvio la sentenza del Giudice di Pace mestrino che ha disconosciuto il diritto alla libera circolazione del ricorrente “qualificando lo stesso come partner di una situazione non riconoscibile in Italia”.

Si tratta, secondo la Corte di una interpretazione esorbitante rispetto alla fattispecie contestata, atteso che il giudice del merito avrebbe dovuto limitarsi a verificare se “sulla scorta della legislazione interna dello Stato membro” ovvero la Spagna, “l’unione in parola sia qualificabile o equiparabile a rapporto di coniugio, quale è stato prospettato, con relativa documentazione dell’imputato”.

Con la legge 13/2005 approvata dal parlamento spagnolo il 30 Giugno 2005 ed in vigore dal 3 Luglio 2005 la Spagna ha cambiato il proprio diritto di famiglia, estendendo la possibilità di contrarre matrimonio civile anche alle coppie di omosessuali. Accanto al matrimonio, continuano ad esistere in Spagna le leggi e i registri delle coppie di fatto, che, pur riguardando allo stesso modo sia le coppie eterosessuali sia quelle omosessuali, sono giuridicamente e concettualmente differenti dal matrimonio.

Proprio ai fini di questa differenziazione si estende a specificità della motivazione rescindente “acquisisca la disciplina spagnola e verifichi in concreto la condizione del ricorrente agli effetti dell’eventuale liceità della sua presenza nel territorio italiano” il passaggio argomentativo maggiormente rilevante in punto di diritto è appunto nel punto in cui la Corte conclusivamente afferma che “in tal senso è parimenti evidente che lo status di coniuge esime dalla documentazione sulla cittadinanza trattandosi di due condizioni equiparate per legge”.

Ne consegue che, ovviamente previa veridicità della documentazione addotta a conforto della tesi del ricorrente a giustificazione motivazionale e quindi della verifica dello status di “coniuge” in capo al ricorrente, si potrebbe verificare che, attraverso la farraginosa armonizzazione tra le direttive comunitarie e le strette maglie della “Bossi/Fini”, una sentenza emessa in nome del Popolo Italiano conferisca effetti giuridicamente rilevanti ad una unione tra persone dello stesso sesso.

Giuseppe Campanelli

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